La “Primavera dei popoli”, come la definì Karl Marx, ebbe, a seconda degli Stati ove si manifestò, caratterizzazioni e finalità differenti: in Svizzera, in Francia e a Vienna (Paesi che da sempre possedevano unità ed indipendenza) fu rivolta eminentemente finalizzata allo sconvolgimento sociale; nei territori asburgici ebbe carattere di movimento nazionale per l’indipendenza e, nel caso specifico dell’Italia e della Germania, a ciò si aggiungeva anche la necessità dell’abbattimento dei vari Stati allora esistenti e della unificazione generale in una sola entità politica.
Per comprendere a pieno quanto accadde in quei giorni occorre naturalmente inquadrare il tutto nel più vasto fenomeno di quel processo secolare - comunemente denominato “Rivoluzione” - finalizzato alla totale sovversione della civiltà, della società e della Tradizione cristiana e europea - in atto ormai dalla fine dell’età medievale. Il ‘48 infatti non avrebbe mai potuto avere luogo senza che in antecedenza fosse avvenuta la Rivoluzione Francese, né potrebbe mai oggi essere compreso se non alla luce della immensa portata storica, politica e sociale di quell’avvenimento capitale per la storia dell’umanità. Stesso identico ragionamento vale per la Rivoluzione Francese in rapporto alla Rivoluzione Protestante, e quindi alla rivoluzione culturale umanistica, inevitabile presupposto ideale e ideologico per il futuro movimento razionalista e illuminista.
Non stiamo dicendo certo nulla di nuovo: ci appelliamo a riguardo all’insegnamento di Pontefici come Leone XIII e Pio XII, e all’autorità intellettuale di tanti maestri del pensiero cattolico.
La rottura con il passato
Il ‘48 segna un momento di rottura tanto improvvisa quanto definitiva con la società e la mentalità del tempo, in maniera simile appunto a ciò che accadde in Germania nei 1517 e in Francia nel 1789: almeno questo era senz’altro nelle intenzioni dei protagonisti di quei giorni. Il fatto che i risultati di tante rivoluzioni contemporanee non ebbero la stessa portata devastante dei due eventi su citati, in quanto momentaneamente limitati dalla vittoria delle forze della Tradizione, nulla toglie alla dimensione profondamente corrosiva nella mentalità generale europea che tali eventi procurarono.
Innanzi tutto il ‘48 segna irrevocabilmente la fine dell’età della Restaurazione; esso è la tomba dei sogni nei quali si erano cullati, dopo il 1815, Sovrani, ministri, intellettuali, alti prelati, che credevano aver posto un limite invalicabile alle istanze sovversive e per di più mantenendo perfino qualche presunta giusta rivendicazione sociale di stampo “ottantanovesco”. Il ‘48, ancor più che la “primavera dei popoli”, fu “lo svegliatoio dei Re”, per usare un’espressione allora in voga fra gli uomini di cultura, in quanto apparve chiaro a tutti ormai che quel meccanismo di erosione sovversiva della civiltà cristiana e sacrale innescatosi - almeno in maniera ufficiale - nel 1789 non poteva essere più fermato, ma solo rinviato di qualche tempo; rimedi non ve n’erano, se non a costo di una immane retromarcia generale della società europea, la quale, però, non aveva più la forza di rinascere e di resistere che tante volte nel passato, non ultima negli anni della Controriforma, aveva dimostrato.
Il ‘48 segna anche la fine dell’età del romanticismo, almeno di quello inteso - nel senso meno peggiore del termine - come reazione alle razionalistiche, empiristiche e squallidamente scettiche istanze illuministico; infatti, dalla metà del secolo in poi, un nuovo ideale andrà sempre più instaurandosi nella mentalità collettiva europea: il mito del progresso inarrestabile e positivo, quel progresso scientifico e sociale di cui prometeico simbolo può considerarsi non solo e non tanto la mostra universale di Parigi del 1900, ma, in particolare, per utilizzare un evento tornato oggi alla ribalta, l’inabissamento nel 1912 della più grande nave mai costruita nella storia, sulla quale era scritto - non dimentichiamolo mai - a grandi lettere, “Nemmeno Dio può affondarmi!”.
È infatti proprio con la momentanea e fallace restaurazione postquarantottesca che, rimesse in ordine le cose e sventato per il momento il pericolo socialista, le più potenti forze economiche e settarie europee danno il via alla grande e definitiva avventura del colonialismo e dell’imperialismo, accettando però di contro il diffondersi delle idee di sovversione socialiste ed anarchiche e favorendo i moti insurrezionali unitari tedesco ed italiano; è in questi anni che esplode quella Seconda Rivoluzione Industriale che avrebbe modificato per sempre il vivere quotidiano degli uomini; è in questi anni che si gettano i presupposti per il futuro suicidio collettivo della civiltà europea, quel suicidio consumatosi cento anni fa tra il 1914 e il 1918 che procurò, oltre a 10 milioni di morti, la cancellazione dalla storia dell’Impero cattolico e l’instaurazione concreta del comunismo nel mondo, gettando per altro le basi per la futura guerra e quindi per i successivi accordi di Yalta.
A ben vedere, il 1848 ebbe una portata storica e rivoluzionaria ben più profonda di quanto oggi si creda comunemente, e in fondo, esso non è poi così lontano dalla nostra stessa realtà storico-politica. Come dicevamo, esso costituisce una data di frattura epocale: è in effetti il secondo trionfo dell’‘89, e nello stesso tempo apre le porte al futuro ‘93 di Mosca, il 1917. Non ci si illuda sulla sua apparente sconfitta: a Parigi, in quello stesso anno, cade per sempre la Monarchia capetingia, e, solo 22 anni dopo, cade per sempre la Monarchia; in Germania, il tutto è solo rinviato di neanche venti anni; in Italia, ne basteranno molti di meno, solo 10. Per quanto concerne infine l’Impero asburigico, è superfluo sottolineare - come già fatto in precedenza - quanto il ‘48 abbia corroso i presupposti della sua esistenza e abbia preparato il suo crollo 70 anni dopo.
L’assenza dei popoli
Naturalmente non abbiamo qui la possibilità di approfondire - né d’altronde lo riteniamo necessario - gli specifici accadimenti che segnarono la storia di quei giorni. Quello che si può dire, è che, guardando oggi a quegli eventi nella loro ottica generale, ciò che più colpisce - in special maniera ad osservatori abituati a interpretare gli eventi storico-politici con occhi non proprio del tutto “ingenui”, e non avulsi da quelle che sono le reali e recondite forze motrici della storia umana - è senz’altro l’aspetto “totalizzante” di questo moto insurrezionale collettivo europeo: è come se, pur mossi, come detto, da esigenze di varia natura e operanti in situazioni locali ben differenti le une dalle altre, i rivoluzionari svizzeri, francesi, tedeschi, austriaci, ungheresi, boemi, più tutti gli esponenti del movimento risorgimentale italiano, divisi nei differenti Stati della Penisola, si fossero dati un, per così dire, “appuntamento sovversivo” generale per quell’anno specifico, al quale, dal canto suo, non mancò neanche lo stesso Marx, con la pubblicazione del suo Manifesto.
Per capire meglio quanto detto, rivediamo un istante il divenire cronologico del progressivo affermarsi dei moti sovversivi:
- novembre 1847: in Svizzera le forze radicali sconfiggono il partito dei cantoni cattolici, il Sonderbund, trasformando la Confederazione in uno Stato federale e democratico in nome del principio della sovranità popolare che, come essi proclamarono apertamente, avrebbe dovuto trionfare di lì a poco anche negli altri Paese europei;
- 12 gennaio 1848: insorge Palermo per l’indipendenza e si proclamò la costituzione;
- 22 febbraio: insorge Parigi, ove avviene la prima rivoluzione socialista della storia, come Marx e il celebre storico liberale Tocqueville ebbero a chiarire;
- Tra febbraio e marzo Ferdinando IV, Leopoldo II, Carlo Alberto e Pio IX concedono la Costituzione;
- 13 marzo: insorge Vienna, Metternich cade e viene concessa la Costituzione;
- 17 marzo: insorge Berlino non solo per la Costituzione, ma per l’unificazione della Germania;
- 19 marzo: insorgono anche Budapest e la Boemia per l’indipendenza;
ma dal 18 marzo anche Milano era in rivolta, e dal 20 Venezia, ove si proclamò restaurato il governo della Serenissima; quindi rivolte vi furono anche nei Ducati di Parma e Modena. Il 23 marzo Carlo Alberto dichiara la guerra all’Impero Austriaco, e da questo momento inizia il più importante di tutti i moti indipendentistici europei del 1848, quello italiano: inizia la cosiddetta “Prima Guerra d’Indipendenza”, inizia il Risorgimento nel suo aspetto militare.
Come appare evidente, riesce ben difficile poter pensare che tutta questa serie concatenata di rivoluzioni possa essere “frutto del caso”, o magari, come certa storiografia tende a far credere, conseguenza dell’incontenibile odio dei popoli oppressi che innesca un meccanismo inarrestabile di ribellione per la libertà.
Ciò evidentemente è ridicolo, anche perché, come ormai è cosa arcinota, il vero problema dei moti indipendentistici, e in particolare di quello risorgimentale, è la pressoché totale assenza di iniziativa veramente popolare, e quindi di “consenso delle masse”, marxianamente parlando. È il celebre problema della “rivoluzione passiva” di cuochiana memoria: Vincenzo Cuoco nel suo famoso Saggio esprime questo concetto fondamentale già per la Rivoluzione Napoletana del 1799, che fallì miseramente anzitutto perché ideata e voluta da una minimale élites intellettuale, senza alcun serio riscontro popolare, né a Napoli né nelle province.
Il problema del Risorgimento come ulteriore rivoluzione passiva è stato al centro di ogni dibattito storiografico e politico a partire da Gramsci in poi, in quanto è cosa evidente di per sé come la Rivoluzione Italiana non ebbe mai, neanche nei migliori momenti, alcun significativo consenso del popolo, anzi (sulla questione dei plebisciti, poi, è superfluo tornare nuovamente, visto che ben si conosce da ognuno il reale valore di quelle votazioni per lo più gestite da agenti mazziniani).
Del resto, identico discorso può essere fatto anche per gli altri Paesi coinvolti in rivoluzioni, comprese la Svizzera e ancor più la Francia, ove la rivoluzione, in maniera ancora maggiore che negli anni del giacobinismo, fu esclusivamente operazione “parigina”.
Se, dal punto di vista rivoluzionario, il ‘48 terminò nella cosiddetta “reazione”, ciò fu dovuto proprio all’assoluta indifferenza, quando non ostilità, delle popolazioni: ciò è talmente evidente che nessuno oggi osa disconoscere tale verità. Ciò che però quasi nessuno osa affrontare è il tentativo di spiegare come mai si innescò allora un tale irresistibile sommovimento generale europeo, tanto di carattere liberal-nazionale quanto radical-socialista, per di più scoppiato nel giro di pochi mesi ovunque con una serie concatenata di convulsioni incontrollate.
Il ruolo della Massoneria
Evidentemente esiste una sola logica spiegazione storico-politica: tutto ciò fu sapientemente preparato, coordinato ed abilmente attuato dalla regia delle sette massoniche e delle società segrete che tutti conosciamo essere a quei tempi attivissime.
Non stiamo dicendo naturalmente nulla di nuovo: tutti sappiamo come i più celebri protagonisti di quei giorni appartenessero a società segrete di stampo più o meno massonico, sia i rivoluzionari socialisti francesi che tutti quelli “nazionalisti” tedeschi, ungheresi ed italiani. Del resto non c’è proprio nulla di strano in questo: qualsiasi manuale di storia per le elementari dedica un capitolo al problema delle “società segrete”, a Mazzini, a Garibaldi e ai fratelli Bandiera, a Kossuth e a tutti gli altri rivoluzionari degli anni della Restaurazione. Naturalmente il manuale in questione non spiega cosa fossero realmente queste società segrete e cosa prevedessero nei loro piani di palingenesi della società e dell’intera umanità; però è cosa nota a chiunque la loro esistenza e la loro influenza sugli eventi storici, ed in particolar modo sul Risorgimento italiano.
Inutile nascondercelo: un ordine partì, e cospiratori di tutta Europa insorsero in armi per fare la Rivoluzione, anche se nella certezza morale del fallimento, e questo secondo il principio che ogni sconfitta nella politica può divenire una vittoria nella storia. Infatti, da questo punto di vista, l’importanza del ‘48 fu determinante: pur se nel fallimento generale, esso è accaduto, e da quel momento costituisce una pietra miliare nella storia secolare di quel fenomeno di totale sovversione della civiltà cristiana che prende il nome di Rivoluzione. Da questo punto di vista, esso fu veramente la “Primavera dei popoli”, anche se i popoli non vi parteciparono affatto, in quanto vi parteciparono però nel racconto dei protagonisti sopravvissuti, nei libri di storia, nei giornali rivoluzionari, nella leggenda della “vulgata” risorgimentale, nella memoria collettiva delle generazioni future: in tal senso, il ‘48 fu la più grande delle vittorie della Rivoluzione, tanto che lo stesso nome evoca il concetto di rivolta e confusione contro l’ordine stabilito.
Tutto questo lo diciamo soprattutto per mettere in rilievo un aspetto a volte un po’ troppo dimenticato del 1848, vale a dire il suo ruolo intrinsecamente anticristiano, e quindi rivoluzionario, a partire dalla rivolta anticattolica svizzera per arrivare ai provvedimenti social-radicali di Parigi e alle prime vessazioni e violenze anticlericali, triste presagio di ciò che poi accadrà sotto la Comune del 1870; a partire dai provvedimenti finalizzati alla laicizzazione della società adottati da tutti i governi rivoluzionari in carica, per arrivare all’esclusione del partito cattolico (i grandi tedeschi), legato agli Asburgo, dal processo di unificazione dei popoli germanici, a vantaggio dei piccoli tedeschi, legati alla dinastia protestante prussiana; a partire appunto dalle vicende di Roma mazziniana per arrivare all’esilio del Pontefice a Gaeta.
Una rivoluzione completa
Bisogna capire che, come detto in precedenza, il 1848 è un momento importante - forse più di quanto finora non ci si sia accorti - della storia del secolare processo rivoluzionario anticristiano, caratterizzato da entrambi i principi ideologici - rivoluzionari per essenza - stabiliti ufficialmente con la Rivoluzione Francese, il liberalismo ed il socialismo: fu liberale nei suoi ideali generali, negli uomini che lo attuarono e nell’uso strumentale che si fece dell’idea di sovranità nazionale in contrapposizione a quella di Monarchia per grazia divina e di sacralità del potere politico (movimenti nazionalisti ed indipendentisti); fu socialista nei suoi presupposti di rivoluzione sociale (rivoluzioni parigine di febbraio e giugno e Capitale di Marx ed Engels).
Ma è inutile sottolineare che è soprattutto in ambito italiano che esso trova la sua più completa espressione, e non solo dal punto di vista nazional-liberale, come è evidente a tutti. Per quanto si dica che mazziniani e soci non approvassero le istanze socialiste marxiste, e che queste restarono escluse dal movimento risorgimentale, il quale, a sua volta, fu guidato dalle correnti più moderate, non si può nascondere il fatto che tutti i capi democratici della Rivoluzione Italiana, a partire proprio da Mazzini per arrivare a Ferrari, Bixio, Mario, Pisacane, ecc., non rinnegarono mai tali istanze: si limitarono solo a subordinarle - in ordine alle necessità storiche e contigenti dell’attuale società italiana - all’ottenimento dell’indipendenza e dell’Unità politica, anche a costo di favorire momentaneamente una specifica dinastia. Anzi, tali conquiste erano per costoro i presupposti necessari che preludevano alla futura rivoluzione repubblicana e socialista, che avrebbe intronizzato il popolo sovrano al posto dei Re cattolici.
Ciò è innegabile, e rende, anche e soprattutto per l’Italia, il 1848 una Rivoluzione “completa”, secondo l’insegnamento che il noto pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira ha impartito nella sua più celebre opera,Rivoluzione e Controrivoluzione, ove afferma che ogni rivoluzione si evolve sempre in tre profondità concettuali: le tendenze, le idee, i fatti, e ognuna è presupposto della seguente. Orbene, come dicevamo, il ‘48 fu una vera rivoluzione completa in sé, anche se appendice della cosiddetta seconda Rivoluzione, la Rivoluzione Francese, senza la quale non avrebbe mai potuto avere luogo: fu rivoluzione nelle tendenze (come già indicato in precedenza, pose fine alla mentalità romantica ed alla società della Restaurazione per inaugurare da un lato l’età dei nazionalismi e degli imperialismi, dall’altro la cosiddetta rivoluzione industriale che tanto contribuì a trasformare la società europea nel più profondo dei suoi costumi e della sua mentalità); fu rivoluzione nelle idee (come detto, fu conseguenza tanto delle istanze liberali e nazionaliste quanto di quelle radical-socialiste); fu rivoluzione nei fatti (ne furono coinvolti, come già specificato, Francia, Svizzera, Austria, Germania, Ungheria, Boemia, e soprattutto l’Italia, ove perfino il Papa fu cacciato dalla sua Santa Sede).
Una volta chiariti tali fondamentali presupposti, diviene più semplice anche emettere giudizi storici corretti e pertinenti sui fatti e sui protagonisti specifici:
1) sugli eventi di Parigi: la caduta della Monarchia capetingia “borghese” con Luigi Filippo d’Orléans, la Seconda Repubblica e il Secondo Impero, preludio all’affermazione definitiva della massonica ed anticattolica Terza Repubblica;
2) sugli eventi di Germania: l’affermazione della Prussia protestante sull’Austria cattolica e il conseguente operato politico di Bismarck, il Secondo Reich, il KulturKampf anticattolico, l’imperialismo tedesco, ecc.;
3) sugli eventi d’Austria: la caduta del Metternich che segna simbolicamente la morte dell’età della Restaurazione, la separazione magiara da Vienna e, soprattutto, l’infervorimento dei nazionalismi balcanici, causa fondamentale della tragedia della Prima Guerra Mondiale e quindi della stessa caduta dell’Impero;
4) la pubblicazione del Manifesto, vero punto di partenza storico-politico dell’affermazione della lotta di classe comunista nel mondo;
5) tutto ciò che accadde in Italia: la guerra dei Savoia contro l’Impero cattolico, la grande e definitiva “scelta di campo” di quella dinastia, l’affermazione delle idee mazziniane plebiscitarie, le Costituzioni laiciste contrarie al principio della sacralità monarchica, la momentanea caduta dello Stato della Chiesa e l’istituzione della Repubblica Romana con la fuga del Papa; l’istituzione di governi rivoluzionari dittatoriali democratici; l’affermazione del mito garibaldino; lo spostamento a Torino di ogni iniziativa rivoluzionaria e la diffusione del sentimento d’odio nei confronti dell’Impero cattolico; l’inganno, attuato nella mentalità collettiva del popolo, della confusione concettuale tra legittimo patriottismo e nazionalismo eversivo.
Tutto questo, e altro ancora, diviene chiaro alla luce degli eventi storici precedenti e susseguenti il ‘48. Questo fu un grande movimento di rivoluzione generale finalizzato, nell’immediato, all’estinzione della società della Restaurazione ed all’affermazione delle nazionalità contro i principii della Monarchia sacrale, alla lunga, all’affermazione delle prime istanze di rivolta socialista e comunista nella società europea. In un concetto, fu un grande momento della Rivoluzione gnostica e ugualitaria per sovvertire l’ordine cristiano della società: nell’ambito religioso, contro il potere temporale della Chiesa, la caduta del quale era preambolo necessario alle future “guerre” di carattere dottrinale e liturgico; nell’ambito politico, contro le monarchie cattoliche e quindi contro ogni principio di legittimità sacrale a favore delle istanze demagogiche sovversive; nell’ambito sociale, contro la proprietà privata a favore delle istanze di rivoluzione comunista e anche anarchica.
Massimo Viglione