John Fisher (1469-1535), proveniente dal settentrionale Yorkshire, si distinse all’Università di Cambridge ancor prima di essere ordinato sacerdote e, dopo l’ordinazione, divenne docente universitario.
Uomo di fede e cultura
Presto nominato cancelliere dell’università, fu scelto come confessore da Margaret Beaufort, madre di Enrico VII, nonna di Enrico VIII e donna molto pia. Nel 1504 divenne vescovo di Rochester e membro del consiglio privato di Enrico VII, carica che mantenne sotto Enrico VIIII. Fu un vescovo diverso da molti altri: ottimo predicatore, risedette sempre nella propria diocesi e investì parecchio tempo nelle visite pastorali (anticipando, in questo, i decreti tridentini). Poco dopo contribuì all’introduzione dell’umanesimo in Inghilterra, come si disse, offrendo a Erasmo la prima cattedra di greco su suolo inglese. Intanto i suoi sermoni venivano dati alle stampe e riscuotevano un successo clamoroso.
Acerrimo avversario del Protestantesimo
Fisher fu uno dei primi a comprendere che Lutero non era un semplice fustigatore dei vizi del clero ma che rappresentava un grave pericolo per l’integrità della fede; si mise a studiare gli scritti del monaco agostiniano già nel 1519-‘20; del 1521 è il suo primo sermone contro l’eresia luterana. Divenne in breve l’apologeta cattolico più noto in Europa.
Ben presto, però, il suo tempo e le sue energie furono assorbite da una questione della quale avvertì subito l’enorme portata: il “divorzio” del re. Senza indugiare, si pronunciò contro l’annullamento e cominciò a scrivere trattati in favore di Caterina.
Ovviamente cadde in disgrazia: gli fu spesso proibito di partecipare alle sedute del consiglio privato e nel 1533, l’anno delicato del pronunciamento di Cranmer e dell’incoronazione di Anna, fu costretto agli arresti domiciliari fino a cose fatte.
Intanto, l’anno precedente, aveva subito un tentativo di avvelenamento da parte della famiglia Boleyn (i Bolena). Ma, pur vedendo chiaramente dove tutto ciò avrebbe portato, procedette per la sua strada senza esitazioni. Fu imprigionato nella Torre quando, contemporaneamente a More, rifiutò di sottoscrivere il giuramento all’Atto di Successione.
Verso il martirio
Il Papa cercò di proteggerlo a distanza creandolo cardinale, ma l’espediente servì solo a far infuriare il re. Fu condannato a morte per alto tradimento, dopo l’approvazione parlamentare del micidiale Act of Treason,quando un testimone affermò di aver udito una sua dichiarazione contro la supremazia regia. Gli fu risparmiato lo squartamento, come si usava fare per i condannati altolocati, per la grande condiscendenza del re.
La mattina del 22 giugno 1535, dunque, l’anziano cardinale John Fisher salì sul patibolo senza farsi aiutare. Gli fu offerto per l’ultima volta il perdono del re in cambio del giuramento ed egli, per l’ultima volta, rifiutò. Poi, con la sua voce chiara e profonda, tenne l’ultima orazione della sua vita, in cui chiese agli astanti di pregare per lui affinché la sua fede nella Chiesa Cattolica resistesse senza tentennamenti fino all’ultimissimo istante (poteva essere, ad esempio, dopo il primo colpo di scure). Poi fu la fine (o l’inizio).
Il suo corpo decapitato venne completamente spogliato e lasciato sul patibolo per il solito pubblico esempio; fu poi sepolto alla bell’e meglio, lì accanto, da un gruppo di soldati che gli scavarono la fossa con le loro lance. La testa, come di consueto, fu impalata ed esposta sul ponte di Londra; due settimane dopo fu buttata nel Tamigi (anche perché si cominciava a dire che operasse miracoli) e sostituita con una testa “fresca”, quella dell’ex Gran Cancelliere, Thomas More.
Tutto quello che gli era appartenuto, compresa la biblioteca più ricca e meglio fornita del regno, venne depredato o devastato, la sua memoria quanto più possibile offuscata e infangata.
Elisabetta Sala