Sabato 21 Dicembre 2024

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La Modernità: culla o bara dei diritti umani?

L’accusa che è rivolta al Cristianesimo è quella di aver ostacolato i diritti umani perché si sarebbe posto sempre in una prospettiva contraria alla modernità filosofica. Ma è proprio vero che i diritti umani siano nati con la modernità? Anni fa, a Torino, si tenne un seminario a porte chiuse sul tema Chiesa cattolica e modernità. Ad organizzarlo fu l’ambiente tipico della Torino culturale, cioè l’ambiente che da sempre si “onora” di esprimere il laicismo nostrano, quello neogobettiano…e da qualche anno possiamo anche definire “neobobbiano”. Il leit motiv fu questo: dal momento che i diritti umani sono nati nella modernità e dal momento che il Cattolicesimo è incompatibile con la modernità, ecco che il Cattolicesimo è contro i diritti umani. Ragionamento che nella parte iniziale non fa una grinza, perché è vero che il cattolicesimo è incompatibile con la modernità, quella filosofica naturalmente, non la modernità come semplice progresso scientifico-tecnologico che invece è nata grazie soprattutto al Cristianesimo. Per modernità filosofica s’intende il tentativo dell’uomo di fare a meno di Dio, di diventare Dio di se stesso; per dirla in termini più filosofici e difficili: di diventare fondamento immanente di tutto. Ma il ragionamento poi prosegue falsamente, perché se è vero che il Cattolicesimo è incompatibile con la modernità filosofica, non è affatto vero che i diritti umani siano nati nella modernità, anzi. L’Illuminismo (siamo nel pieno della modernità filosofica) ebbe una sua concezione dell’uomo, coerentemente conseguente ai presupposti dell’Illuminismo stesso. Dal momento che – dicevano gli illuministi – esiste solo la materia, l’uomo è solo corpo, un semplice organismo cellulare, “una macchina”, come amava dire La Mettrie. Ora, se l’uomo non è altro che un organismo cellulare, vuol dire che non ha un’anima, e se non ha un’anima, vuol dire che ha un valore finito. Per il Cristianesimo, invece, l’uomo è sì materia ma è anche spirito e nel suo spirito si esprime l’“immagine e somiglianza di Dio”, che è ha in un certo qual modo un valore “infinito”, essendo il riflesso stesso di Dio che è ontologicamente infinito. Ma torniamo all’Illuminismo. L’uomo, dunque, sarebbe solo un organismo cellulare, quindi avrebbe un valore finito. Ma se ha un valore finito, vuol dire che può essere posposto (messo dopo) ad altri valori: l’Ideologia, lo Stato, la Rivoluzione, la Razza. Una volta infatti che si è ammesso che l’uomo ha solo un valore finito, come si fa dimostrare che è un valore sempre e comunque superiore agli altri? Chi ha studiato il XX secolo sa bene che questo secolo è riuscito a fare più morti ammazzati di tutti i secoli precedenti. È vero che ha “beneficiato” di strumentazioni belliche molto sofisticate, ma questo non basta a spiegare. Quello che spiega è piuttosto un’altra cosa, e cioè che il mondo contemporaneo si è costruito sulla convinzione che l’uomo non è necessariamente il valore più grande sulla faccia della terra. Noi oggi parliamo dei genocidi del XX secolo (l’Olocausto, ancor prima l’Armenia, le purghe staliniane, la Cambogia, la Cina maoista, le foibe, ecc...), ma dimentichiamo che il concetto di “genocidio” è nato prima. Non a caso è nato quando l’Illuminismo divenne prassi politica con la Rivoluzione francese, precisamente quando il governo giacobino decise di “rispondere” alla rivolta controrivoluzionaria della Vandea. In quel caso non si decise di intervenire sui capi e sui soli colpevoli (“colpevoli” naturalmente dalla prospettiva rivoluzionaria), ma su un intero popolo senza alcuna distinzione. Ciò che contava era salvare la Rivoluzione, perché non era la Rivoluzione per l’uomo ma il contrario. Ragionamento del tutto coerente con la filosofia illuminista, in particolare, e con quella moderna, in genere. E fu così che vennero praticate (allora, non dopo) le prime tecniche di genocidio: avvelenamento delle acque, dell’aria, uccisioni di massa, ecc. L’Ottocento, poi, non tradì certo la svolta antropologica del secolo precedente e anch’esso fu all’insegna della strumentalizzazione dell’uomo. Un piccolo ma significativo esempio, ci sarebbe da chiedere ai laicisti di oggi che tanto sono legati ai padri del nostro Risorgimento: ma è figlio della Chiesa o della modernità un Cavour che mandò a morte tanti uomini nella sconosciuta Crimea per potersi sedere al tavolo delle trattative? Finalmente il Novecento che tutti conosciamo. La Grande Guerra, “inutile carneficina” voluta a tavolino, dove per la prima volta si capì quanto l’uomo dovesse servire come terrificante macchina da guerra, e poi Stalin, Hitler, Mao, Pol Pot e compagnia bella…pardon: brutta! Con questo non si vuole dire che il mondo premoderno (cioè quello medievale perché quello antico è in un certo senso prefigurazione della modernità) fosse immune da violenza e prevaricazioni. Piuttosto si vuole dire un’altra cosa e cioè che mentre nella premodernità la violenza esisteva ma non trovava nell’antropologia nessun tipo di giustificazione, con la modernità la violenza e la strumentalizzazione dell’uomo diventano l’esito coerente di una concezione che decide di valutare l’uomo solo come un semplice organismo biologico. Corrado Gnerre