“Ma non sei ecumenico!”, “No, mi dispiace. O meglio, lo sono, ma nel senso della
Mortalium animos di Pio XI”. La faccia stralunata dell’interlocutore al mio nominare l’Enciclica di Papa Ratti, se poteva farmi sorridere per l’espressione, lasciava l’amaro in bocca perché era palese che non sapeva bene cosa fosse essere ecumenici.
Ai nostri giorni l’ecumenismo è diventato parte integrante dell’essere cattolici, una specie di mantra ripetuto incessantemente insieme al termine “dialogo”. Purtroppo, difficilmente lo si intende nel suo reale significato, ovvero quello con cui la Chiesa Cattolica lo ha sempre inteso.
La mia domanda, a questo punto, in questo clima di “analfabetismo cattolico”, è: quanti cattolici conoscono il reale senso dell’ecumenismo?
Proprio partendo dalla
Mortalium animos (
MA) vorrei provare ad affrontare in breve il discorso, con i limiti che mi sono posti dallo spazio e dalla mia conoscenza e senza la presunzione di migliorare i già tanti interventi sull’argomento.
Si deve premettere che, nei due millenni di storia della Chiesa, mai si era usato il termine
ecumenismo[1]: questo è nato in terra protestante, nel tentativo di unire le varie confessioni che, in mancanza di un Papa, si erano create da Lutero in poi. Dalla creazione dell’ecumenismo protestante, il termine ha preso piede ed è entrato nel linguaggio comune per indicare il movimento che tende ad unire le varie confessioni cristiane. Infine, a partire dal Concilio Vaticano II, anche la Chiesa Cattolica lo ha fatto proprio, idealmente e operativamente.
Pio XI scrive la
MA il 6 gennaio 1928 e, sulla scia di Pio IX
[2] e di Leone XIII
[3], non lascia adito a dubbi.
«L’unico modo possibile di favorire l’unità dei cristiani è di agevolare il ritorno dei dissidenti alla unica vera Chiesa di Cristo, a tutti ben nota e, per volontà del proprio fondatore, destinata a rimaner in eterno tale come Egli la istituì per la comune salvezza di tutti» (n. 10). Non invece la ricerca di una Chiesa del Cristo totale, non ancora presente in alcuna delle chiese attuali e realizzabile solo nell’unione di queste chiese, compresa la Cattolica
[4]. Papa Ratti non fece altro che riportare il pensiero della Chiesa, sempre lo stesso, mai variato
[5].
Non poteva fare altrimenti. Da buon custode della Parola di Gesù, si atteneva a quello che il Fondatore della Chiesa aveva insegnato, non si prendeva la briga di ermeneutiche divergenti.
Cristo ha reso gli Apostoli unici destinatari di frasi chiarissime. Ne riportiamo alcune: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10, 40); «Mi è stato dato ogni potere, in cielo e in terra. Andate dunque ad ammaestrare tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e dl Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte le cose che vi ho comandate» (Mt 28, 18-20); «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Non si può negare che Gesù “esclusivizza” questo potere agli Apostoli. Questi non sono una metafora di tutti gli uomini, ma i soli destinatari, insieme ai loro successori, dell’integrale
munus. L’intero insegnamento di Cristo è legato alla Chiesa di cui gli Apostoli sono i primi rappresentanti, solo ad essa.
Non si può negare, poi, che Nostro Signore ha indiscutibilmente fondato proprio
la Chiesa Cattolica, gerarchica e già nella perfetta unità; che ha istituito
San Pietro unico capo della Sua Chiesa.
Solo un tentativo ideologico può cercare di stravolgere tutti questi elementi chiari ed inequivoci, che danno fondamento all’unico vero ecumenismo possibile e fanno anche capire come la Chiesa lo ha inteso nei quasi due millenni precedenti il Concilio Vaticano II. Basterebbe, dunque, ricordare queste parole e volontà di Cristo per evitare errori nell’intendere il senso dell’ecumenismo: quello di un
reditus (ritorno) alla Chiesa Cattolica.
Eppure non è più questo il senso con cui viene inteso al giorno d’oggi.
Per rendercene conto, basta fare due chiacchiere con molti cattolici e, peggio, con molti sacerdoti (e anche con vari esponenti delle più alte gerarchie).
Ci diranno che per salvarsi “basta amare” e, a volte, addirittura, che non serve neanche convertirsi al Cattolicesimo. Ci ammoniranno di non dover stare sempre a elencare quello che ci separa (
alias, dire la verità), ma di essere caritatevoli e cercare quello che ci unisce.
Ne vien fuori l’ecumenismo della
MA di Pio XI?
A scanso delle solite facili critiche di esagerazione, porto due/tre esempi, confrontando alcuni testi del Concilio Vaticano II, che affrontano l’argomento, con la
Mortalium animos, così da fondare questa critica su evidenze messe nero su bianco (quindi difficili da smentire, se non con un’ideologica interpretazione dei testi).
Nella Lumen gentium (LG n. 8) si legge: «Questa chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società,
sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi che sono in comunione con lui, anche se numerosi elementi di santificazione e di verità si trovino anche fuori della sua compagine».
La MA (compendio del pensiero cattolico sul vero ecumenismo) afferma invece: «non solamente deve dunque la Chiesa di Cristo sussistere oggi, domani e sempre, bensì deve avere l’identica fisionomia di quella dei tempi apostolici, a meno che non si voglia giungere all’assurdità di ritenere che Gesù Cristo o abbia fallito allo scopo o pur si sia sbagliato quando affermò che le porte dell’inferno non avrebbero mai prevalso contro di essa» (n. 5). Semplifichiamo all’estremo: la Chiesa di Cristo è stata, è e sempre sarà quella cattolica e non basta che questa sussista, ma deve rimanere sempre la stessa.
La domanda istintiva è: perché il Concilio ha voluto scrivere solamente che la Chiesa cattolica
sussiste e non che
è?
Un specifica delle differenze ce la dà con chiarezza Romano Amerio. «Dove gli schemi preparatorii definivano che la Chiesa di Cristo è la Chiesa Cattolica, il Concilio concede soltanto che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, adottando la teoria che anche nelle altre Chiese cristiane sussiste la Chiesa di Cristo e che tutte devono prendere coscienza di tale comune sussistenza nel Cristo» (Iota Unum, R. Amerio, Fede & Cultura).
La spiegazione data dalla Congregazione per la dottrina delle fede
[6], non convince. Non è mai esistita, infatti, prima del Concilio Vaticano II una distinzione tra comunione “piena” e “non piena”, “perfetta” e “imperfetta”
[7].
Questo comporta, conseguentemente, la possibilità che i membri di confessioni non cattoliche possano conseguire la salvezza eterna anche senza convertirsi alla fede cattolica, anzi, quasi senza neanche avere il desiderio di aderirvi.
Altro esempio è nel decreto
Unitatis redintegratio (UR Cap. I, n. 2): «Gesù Cristo per mezzo della fedele predicazione dell’evangelo, dell’amministrazione dei sacramenti e del governo esercitato nell’amore da parte degli apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il successore di Pietro, sotto l’azione dello Spirito Santo, vuole che il suo popolo cresca e che la sua comunione sia
perfezionata nell’unità: cioè nella confessione di una sola fede, nella celebrazione comune del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio». E, continua al n. 3, «Le stesse chiese e comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto prive di significato e di peso. Poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla
stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica».
Perfezionata? Perfezionare è un verbo che si riferisce a qualcosa che ancora non è perfetto. Viene facile la l’impressione che con l’affermazione “comunione sia perfezionata nell’unità” si intenda il concetto che non ci sia ancora un’unità perfetta.
Proprio il contrario di quel che ci insegna Pio XI al punto 5 della MA: «La Chiesa sua invece Nostro Signore la fondò come società perfetta, per natura esterna e sensibile, con il fine di perpetuare nel futuro l’opera salvatrice della Redenzione, sotto la guida di un solo capo, mercé l’insegnamento della parola e con la dispensa dei sacramenti, fonti della Grazia celeste».
Pare oggettivo e non frutto di errata interpretazione, dunque, anche perché nero su bianco, che
UR non dica che l’unione è già nella Chiesa Cattolica, bensì che si deve avere «
la sollecitudine di ristabilire l’unione»! (n. 5).
In
UR non viene mai nominata la parola
reditus, ritorno
[8]!
Un’altra totale divergenza si trova quando il detto decreto al n. 11 afferma che «nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o piuttosto una “gerarchia” delle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana».
Pio XI nella sua Enciclica invece confermava che «in materia di fede non si può assolutamente tollerare la distinzione posta tra articoli fondamentali e non fondamentali come se gli uni si imponessero a tutti e gli altri fossero lasciati all’arbitrio ed al gusto dei fedeli» (n. 9). Se si fanno un paio di conti, si capisce tutto.
Come riuscire a far passare un’idea di ecumenismo antitetica a quella bimillenariamente intesa, se non togliendo importanza ad alcune verità cattoliche, costitutivamente ostiche ad un tale relativismo? Non serve allungare oltre.
Lo stesso Pio XI aveva evidenziato come già ai suoi tempi «il lavoro a questo scopo è talmente attivo che in vari luoghi ha guadagnato la pubblica opinione e parecchi fra gli stessi cattolici sono presi dal miraggio e dalla speranza di simile unione, tanto più che essa sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, uno dei cui voti più antichi è di richiamare e ricondurre nel proprio seno i figli che l’han disertata» (n. 4).
E, aggiungerei, è un lavoro che continua imperterrito. Vedasi ad esempio la Dichiarazione
Mysterium ecclesiae in pieno postconcilio
[9].
Non servirebbe neanche riportare un passo della
MA, tanto è chiaro che tipo di ecumenismo insegna la Dichiarazione. Lo facciamo, per mero tuziorismo, così da evidenziare un ulteriore punto di distacco dal perenne insegnamento della Chiesa sul rapporto con le altre religioni cristiane.
«È evidente da quanto precede che delle religioni sola vera sarà quella che si fonda sulla parola della rivelazione, cominciata fin da principio, proseguita nell’antico testamento e compiuta nel nuovo dello stesso Gesù Cristo» (n. 5)
In sintesi, nell’ecumenismo creato nel Concilio Vaticano II, si propaga l’idea che la volontà di Cristo ancora non è soddisfatta, che la vera unità dei cristiani sarebbe ancora da comporre, non invece che l’unità è nell’unica vera chiesa fondata da Cristo, quella Cattolica, e che i “fratelli separati”, proprio perché separati, non impediscono l’unità, che permane nella Chiesa Cattolica, ma si sono essi stessi posti al di fuori di questa unità.
Si nota, ahimè, una vera e propria variazione nella dottrina, che consiste nel fatto che l’unione di tutte le Chiese non si deve fare nella Chiesa Cattolica, bensì nella cosiddetta Chiesa di Cristo e, soprattutto, per un moto di convergenza di tutte le confessioni verso
un centro che è fuori di ciascuna.
Si noti bene: ovviamente non lo si fa dichiarandolo apertamente, ma facendola passare in modo
soft, tramite l’inserimento qua e là di frasi come quelle esposte, accanto a frasi che in teoria riportano alla Tradizione e a Magistero di due millenni. Tant’è vero che (cosa curiosa), nel proclamare l’ecumenismo, il Concilio non ha dato una reale definizione di cosa esso sia.
Quale dovrebbe essere allora l’atteggiamento da avere verso un ecumenismo siffatto?
Pio XI ammonisce che «simili tentativi non possono in nessun modo riscuotere l’approvazione dei cattolici, fondati come sono sul falso presupposto che tutte le religioni siano buone e lodevoli in quanto tutte, pur nella diversità dei modi, manifestano e significano ugualmente quel sentimento, a chiunque congenito, che ci rivolge a Dio e ci rende ossequienti nel riconoscimento del suo dominio» (n. 2).
Come vedremo il Pontefice aveva assolutamente colto nel segno; anticipando di decenni le critiche, aveva puntato il dito contro questa teoria «non solo erronea e ingannatrice, ma che attraverso una deformazione del vero concetto religioso conduce insensibilmente chi la professa al naturalismo ed all’ateismo» (n. 2), insistendo che «sotto codeste attrattive e lusinghe si nasconde un gravissimo errore che scalzerebbe dalle basi il fondamento della Chiesa cattolica» (n. 4).
«Sappiamo invece benissimo - Pio XI è inesorabile - che da tutto questo all’indifferenza religiosa ed al modernismo è breve il passo. Per quelli infatti che ne han miseramente subito il contagio, la verità dogmatica non è già assoluta ma relativa, proporzionata alle diverse esigenze di tempo e di luogo ed alle varie tendenze degli spiriti, non essendo basata sulla rivelazione immutabile ma sull’adattabilità alla vita» (MA n. 9)
Papa Ratti, smonta anche, in anticipo, il “misericordismo” e il “caritatevolismo” odierno, chiedendo «potrà sembrare che codesti “pancristiani” tutti occupati nell’unire le Chiese si propongano il nobilissimo scopo di diffondere e d’intensificare tra tutti i cristiani il senso della carità; ma come mai potrebbe la carità rivolgersi in danno della fede?» (n. 8)
[10].
La conseguenza inevitabile è, anzi dovrebbe essere, la seguente: «stando così le cose, è evidente che non può la Sede Apostolica prendere parte a queste riunioni né è permesso in alcun modo ai cattolici aderire o prestar l’opera propria a tali iniziative; cosi facendo attribuirebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai diversa dall’unica Chiesa di Cristo» (MA n. 7)
[11].
Preghiamo la Santa Vergine affinché l’inganno protestante di questo relativismo sia svelato e si torni a non aver paura di rispondere con abnegazione al comando di N.S. Gesù Cristo, «andate per tutto il mondo, e predicate il Vangelo ad ogni creatura», nella certezza divina che solo «chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16, 15-16).
[1] L’uso innovativo della parola “ecumenico” è dovuto al fatto che i protestanti, volendo designare una universalità e non volendo usare il termine
cattolico, legato alla Chiesa romana, hanno scelto il suo equivalente, cioè
ecumenico.
[2] Lettera Apostolica
Iam Vos Omnes Pio IX
13 settembre 1868
[3] Lettera
Præclara gratulationis, 20 giugno 1894
[4] «Dicono invece che la Chiesa visibile altro non è se non una società composta dall’assieme delle varie comunità cristiane, anche se singolarmente aderenti a dottrine magari opposte fra loro» (Mortalium Animos n. 5)
[5] Lettera sinodale a papa Leone I, nov 451; Lettera Dum in sanctae a tutto il popolo di Dio, papa Vigilio 5 febbraio 552: «Il Signore nostro dopo la risurrezione affidò la pienezza di questa fede agli Apostoli, dicendo “Andate dunque ad ammaestrare tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e dl Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte le cose che vi ho comandate”»; Lettera Admonemus ut al vescovo Gaudenzio di Volterra, sett 558-2 febbr. 559, in cui papa Pelagio I parla di ritorno alla Chiesa Cattolica; Concilio Vaticano I, Sess. IV, 18 luglio 1870, costituzione dogmatica Pastor aeternus: «L’eterno Pastore e guardiano delle nostre anime per perpetuare l’opera salutare della redenzione, ha deciso di edificare la santa chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli fossero riuniti dal vincolo di una sola fede e di una sola carità (…) Perché l’episcopato stesso fosse uno e indiviso e perché la moltitudine di tutti i credenti fosse conservata nell’unità della fede e della comunione grazie alla stretta e reciproca unione dei sacerdoti, prepose il beato Pietro agli altri apostoli e stabilì nella sua persona il principio perpetuo e il fondamento visibile di questa duplice unità»; in una risposta della Commissione Biblica dell’11 giugno 1911 si conferma il primato di Pietro; Instructio De Motione Oecumenica, Sacro Officio 1949.
[6] «Con l’espressione “
subsistit in”, il Concilio Vaticano II volle armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica, e dall’altro lato “l’esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine”
[Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica
Lumen gentium, n. 8; si vedano anche
Unitatis redintegratio, n. 3, e Giovanni Paolo II, Enciclica
Ut unum sint, n. 13], ovvero nelle Chiese e comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica» (Dich.
Dominus Iesus, 6 agosto 2000)
[7] Unitatis redintegratio, n. 3; al n. 14 di Lumen gentium si parla di «piena incorporazione»
[8] «Al vocabolo reversione è subentrato quello di conversione … L’unità non deve farsi per ritorno dei separati alla Chiesa cattolica, bensì per conversione di tutte le Chiese nel Cristo totale, il quale non sussiste in alcuna di esse ma va reintegrato mediante la convergenza di tutte in uno» (Iota Unum, R. Amerio, p. 463, Ed. Fede & Cultura).
[9] «Necessario che i cattolici con gioia apprezzino i valori genuinamente cristiani, derivanti dallo stesso patrimonio comune, che si riscontrano presso i fratelli da noi separati [cfr. Unitatis redintegratio n. 4]; e che, in un comune sforzo di purificazione e di rinnovamento, si impegnino per la ricomposizione dell’unita tra tutti i cristiani, affinché la volontà di Cristo si compia e la divisione dei cristiani non continui più ad ostacolare la proclamazione del vangelo nel mondo» (Dichiarazione Mysterium ecclesiae, Congregazione per la dottrina della fede, 24 giugno 1973).
[10] «Nessuno certamente ignora che proprio Giovanni, l’apostolo della Carità, che pare nel suo vangelo aver svelato i secreti del Cuore Sacratissimo di Gesù e che sempre inculcava ai discepoli il nuovo comandamento: "Amatevi l’un l’altro", vietò ogni relazione con chi non professi piena ed incorrotta la fede di Cristo: “Chi viene a voi e non porta questa dottrina non accoglietelo in casa e non lo salutate nemmeno”» (MA n. 8)
[11] Ef 5, 11 «e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente»
Pierfrancesco Nardini