Sabato 21 Dicembre 2024

18:25:13

Cattolici in politica: il vero vulnus e l’unico rimedio

La sortita di Adinolfi e Amato sul loro nuovo partito, “Il popolo della famiglia”, sta come ovvio facendo discutere e fin da subito si nota che l’iniziativa è tutt’altro che condivisa. Riccardo Cascioli, ne “La nuova Bussola Quotidiana” (4 marzo), critica soprattutto le modalità d’azione dei due: a quanto dice, avrebbero agito all’insaputa degli altri organizzatori – Gandolfini, Miriano, Brandi – del Family Day spiazzandoli anche pubblicamente e sottolinea il fatto che fin dal nome si riduce tutto al problema della famiglia, mentre giustamente un partito non può essere monotematico. Gli amici del sito “Radiospada” hanno subito posto seccamente questi quattro quesiti ai due esponenti, chiedendo risposta. Riporto esattamente le loro parole sia per coloro che non avessero avuto modo di leggerle sia perché le condivido al 100%. Eccole: 1) Fede. Vi presentate come un partito che chiama a raccolta i cattolici. Siete dunque per l’abolizione del divorzio, della legge infanticida 194/78 (aborto), di ogni forma di “unione civile” diversa dal matrimonio e di ogni forma di fecondazione artificiale? 2) Gerarchia. Agite di concerto con la Conferenza Episcopale Italiana? Vi riconoscete nella linea politica dei suoi vertici e, in particolare, del suo segretario (Nunzio Galantino)? 3) Visione politica generale. Creare un movimento politico significa avere una visione complessiva della realtà: la politica non è solo politica familiare. Avete uno sguardo unitario sugli scenari economici? Sugli quelli internazionali? Sull’Unione Europea? Sul tema migratorio? Sulla riforma costituzionale? Se sì, in cosa consiste? 4) Orizzonte partitico. Entrerete in una delle coalizioni esistenti (se sì, quale)? Siete pronti a dichiarare pubblicamente che nel caso in cui il vostro progetto non raggiungesse i suoi obiettivi, non tentereste di “riciclarvi” in altri partiti (rendendo questo movimento un semplice trampolino di lancio o un aggregatore di voti da cedere)? Dei quattro quesiti, i due ancor più essenziali e immediati mi sembrano essere il secondo e il terzo: sul primo e sul quarto, per quanto fondamentali, si potrebbe rispondere prendendo tempo… Ma non sul secondo e sul terzo: su questi, la risposta deve essere immediata. Infatti, se continuiamo a far finta di avere come interlocutori una CEI amica e un clero favorevole, se cioè continuiamo a mentirci spudoratamente gli uni con gli altri per apparire “seri e moderati” o per una malintesa pratica della virtù della prudenza che rasenta poi nei fatti il confine con la menzogna pubblica, non solo non si costituirà nessuna iniziativa politica seria, ma non si otterrà mai nulla nemmeno al mero livello della difesa famiglia naturale. E gli ultimi eventi sono testimonianza incontrovertibile di quanto appena detto. Ma il cuore di tutto io credo sia il terzo punto. Quand’anche nell’iniziativa di Adinolfi e Amato fosse tutto chiaro, quand’anche i due avessero riscosso enorme successo immediato, in realtà il proporre un partito politico monotematico, incentrato, fin dal nome, su un solo punto di battaglia, è ridicolo e antistorico. È l’errore tipico del mondo cattolico in generale, di quello che tende al bene (non di quello che tende al male, al compromesso o al tradimento: questi non fanno certi errori, edotti come sono dai loro padroni). Ed è un errore sia chiaro che non riguarda solo il mondo della famiglia, riguarda tutti. Chi si intende di bioetica e famiglia, chi di economia, chi di moneta, chi di immigrazionismo, chi di politica, chi di liturgia e teologia, ecc.; e tutti pensano che una volta risolto il “loro” problema tutti vivremo felici e contenti. E nessuno capisce che quand’anche salvassimo i bambini dagli orchi, se siamo invasi da milioni di islamici che vogliono conquistarci e cambiarci, sarà stata una vittoria invana; e nessuno pensa che se anche salvassimo i bambini e fermassimo i musulmani, se precipitiamo ancora di più nell’oppressione sinarchica del sistema finanziario non avremo più niente da dare come cibo ai nostri bambini, e non è un’esagerazione; e potremmo continuare. Nessuno capisce che la salvezza non viene da un solo campo della battaglia per la civiltà in corso, ma dalla salvezza completa della stessa civiltà sotto attacco. È una deformazione mentale del nostro mondo, diciamocelo francamente. Il 30 gennaio, mentre tutti festeggiavamo quella bella e importante giornata al Circo Massimo, io, che stavo in alto sotto al monumento a Mazzini, ho visto per circa 30 minuti una cinquantina di islamici con i tappetini che pregavano verso la Mecca nel marciapiede dal lato della FAO. Mi ha fatto un’impressione forte (e spero qualcuno possa cogliere quello che intendo dire), il vedere da un lato centinaia di migliaia di cattolici felici e contenti una volta tanto per una buona iniziativa riuscita, e in contemporanea alle loro spalle… Questo è un mondo unico (o globalizzato che dir si voglia), amici cari: il nemico è uno, a livello di mente dirigente come anche di massimi esecutori a livello planetario. Chi ci fa invadere, chi vuole distruggere la famiglia, chi vuole distruggere l’ordine stesso del creato, chi ci sta riducendo in miseria e schiavitù, chi sta sovvertendo anche la Chiesa, è sempre la stessa mente che utilizza gli stessi servi nei vari campi della dissoluzione odierna. Non serve tagliare un solo braccio all’Idra del male. Lo abbiamo visto tante volte: anche quando riportiamo una vittoria, l’Idra non solo vince altrove, ma poi gli ricresce anche il braccio tagliato, perché non abbiamo combattuto in pieno, perché ci siamo cullati di una piccola battaglia vinta, perché magari basta un giudice a rendere inutile una grande vittoria politica, ma soprattutto perché occorre tagliarle la testa all’Idra, se vogliamo salvare tutto. Salvare tutto, ecco il senso di questo discorso: non si può condurre una battaglia politica, e tanto meno fare un partito, combattendo contro un solo braccio del male, e magari già pronti a futuri compromessi con il paravento della necessità di entrare in Parlamento per condurre la buona battaglia. Per fare un partito occorre un programma a 360 gradi che preveda una soluzione politica a ogni singolo problema, ma soprattutto una dottrina a monte che sia e dia la linfa vitale a tutte le iniziative. Occorre essere cattolici! Non si tratta di essere santi (chi lo è? io no): se lo si è, meglio ovviamente, ma almeno essere cattolici sì. E, di conseguenza, di avere un’interpretazione generale dell’intera storia passata e presente che fornisca la chiave di interpretazione dei problemi enormi che stiamo vivendo e quindi permetta di proporre soluzioni ai singoli problemi, a tutti i singoli problemi. Un’iniziativa politica, un partito, cioè, deve conoscere chi è veramente il nemico e cosa vuole, e quindi fornire – in base e in sottomissione al magistero universale della Chiesa Cattolica (e della gerarchia attuale solo nella misura in cui questa effettivamente a sua volta rispetta e onora tale magistero, del quale essa stessa è serva e non padrona) e alla Tradizione politica e civile della civiltà cristiana come essa è esistita – le soluzioni a livello dottrinale, ideologico e quindi di prassi politica. Il vero vulnus di tutti noi è la mancanza di adesione compatta alla dottrina cattolica e al Magistero civile della Chiesa a 360 gradi: solo questa adesione personale e generale ci donerebbe la capacità di comprensione degli eventi e quindi l’unità d’azione necessaria per divenire una reale forza di reazione al male e di difesa del bene. Dobbiamo salvare la famiglia, i bambini e ogni essere umano dagli orchi e dobbiamo salvare l’ordine stesso del creato e quindi l’intera civiltà umana; ma dobbiamo anche salvarci dall’invasione del nemico esterno anticristiano; ma dobbiamo anche salvarci dalla miseria e dalla schiavitù economica; ma dobbiamo anche capire cosa significa l’inganno del debito pubblico che tutti ci schiavizza costringendoci indirettamente ad accettare ogni aberrazione perché ridotti all’impossibilità di reazione; ma dobbiamo anche riscoprire il valore della Tradizione cristiana ed europea con una vera e propria controrivoluzione culturale e civile, senza la quale non si va da nessuna parte; fino a riscoprire anche la Tradizione cattolica a livello spirituale con tutto quello che ne consegue. C’è tutto questo nel programma di Adinolfi e Amato? C’è una chiara volontà di schierarsi per il bene e contro il male a 360 gradi? Questo partito, è pronto a difendere la nostra civiltà e ognuno di noi – pur partendo come giusto dai più deboli e dalla difesa dell’ordine naturale – dal male che avanza da tutte le parti? Comprende che difendere una sola porta della città assediata non serve a nulla se il nemico poi entra dalle altre porte? Chi scrive non è contrario all’iniziativa politica, anzi, l’ha sempre predicata, come chi mi conosce sa. Ma ha imparato, anche sulla sua pelle, che il problema non si risolve concentrando gli sforzi su una sola questione, per quanto vitale, ma con una visione globale della guerra in corso. E, soprattutto, con la coerente adesione spirituale, intellettuale e politica all’unico collante che ci può permettere di unirci in una forza politica veramente al servizio del Bene: l’applicazione programmatica del Magistero della Chiesa in ogni campo dell’umana convivenza. Se facessimo questo, sarebbe facile poi sia mettere a nudo i subdoli e traditori, sia unire i centomila orticelli che purtroppo dividono da decenni il nostro mondo. Solo la fedeltà alla dottrina e alla tradizione cattoliche di sempre ci permetteranno di unirci e fare politica secondo la volontà di Dio e per il bene di ogni essere umano, a partire dai bambini. Proposte per non continuare a prenderci in giro I risultati del primo turno delle amministrative del 2016 stanno dando adito a dibattiti all’interno del mondo cattolico “pro-family”, a causa dell’evidente insuccesso del partito di Adinolfi. C’è chi difende comunque la scelta e vuole che si continui nel progetto, chi invece lo definisce un fallimento e propone altre vie o comunque un ripensamento generale. Premetto che, personalmente, non solo non credo ai partiti, ma credo che la democrazia moderna, figlia della Rivoluzione Francese e del liberalismo, sia la causa prima della nostra rovina e lo strumento principale utilizzato dalle forze del male per attuare la devastazione odierna: e pertanto tutto quello che dirò deve essere inteso alla luce di questo mio pensiero. Ma siccome in questo mondo viviamo, questa è la situazione in cui ci troviamo, lasciamo perdere per il momento le grandi questioni metapolitiche e gli ideali supremi e guardiamo lucidamente in faccia alla realtà delle cose come essa oggi si presenta. Parlerò schiettamente. · I due strumenti immediati utilizzati dalle forze del male per imporre l’immensa sovversione dissolutoria nella società italiana sono i partiti e i media. Noi cattolici non controlliamo né gli uni né gli altri. Pertanto, rebus sic stantibus, fondare partiti può servire a poco, serve solo a illudere chi soffre, a creare sfogatoi di future speranze annichilite, e, al massimo, a far far carriera a un limitatissimo numero di persone, senza alcun vantaggio reale alla grande causa per cui tutti ci battiamo, in quanto, queste pochissime persone, pur volendo ammettere (con non poca fatica) che poi non tradiranno coloro che li hanno votati, saranno poche gocce nell’oceano della partitocrazia (e della superfinanza che tutto controlla, per non parlare del potere delle lobby internazionali), e non potranno fare quasi nulla di concreto per cambiare le cose, in quanto il loro peso politico reale sarà sempre limitatissimo e sarà facile che vengano controllati o almeno isolati. Anzi, è fortemente probabile che siano loro stessi, al fine della sopravvivenza politica, ingoiati dal meccanismo mediatico e partitocratico. Abbiamo tanti esempi del passato e del presente a conforto di questa preoccupazione. · Ma se anche si volesse fondare un partito, non si fa con un blitz improvviso che lascia tanti altri – con cui si era condiviso un progetto importante – al palo, cominciando a correre senza un fischio d’inizio, senza un coinvolgimento generale, senza un piano condiviso, perché così l’impressione che si lascia è quella di voler fare i furbacchioni e battere sul tempo gli altri in una gara per affermarsi al comando. Che sia stata questa o meno l’intenzione, è innegabile che la sensazione data non può essere diversa da quanto detto. E ciò non facilita certo la fiducia delle persone. · Ma ovviamente non è questo il problema principale. Il problema principale è il fatto che se si vuole creare un partito politico, specie se lo si fa dal nulla e senza l’appoggio dei media e senza i soldi necessari, non ci si può assolutamente ridurre a un solo tema, per quanto giusto e impellente sia. Questo è il nodo da cui molti vogliono fuggire ma dal quale in realtà non si sfugge. Un partito non può essere un contenitore di persone che si battono per un ideale solo. Un partito deve rispondere a ogni – almeno grande – problema della società odierna, se vuole avere speranza di diffusione popolare. Se si vogliono conquistare i consensi di ampie fasce della società, e quindi togliere i voti ai grandi partiti, è necessario non ridursi a parlare solo di famiglia, morale, gender (per quanto fondamentali e vitali siano tali problematiche), ma anche dei problemi creati dall’ideologia immigrazionista, dell’islamizzazione della società, della miseria avanzante per milioni di famiglie che non sanno più come arrivare alla fine del mese (e se mancano i soldi per vivere, la gente non si mette a preoccuparsi del gender o di altro), del ruolo devastante dell’Unione Europea, il Moloch che tutto sovrasta e dirige, di una giustizia che manda in libertà i delinquenti e in galera gli italiani che si difendono, e si potrebbe continuare a lungo con gli esempi. · Non solo: per ciascuno di questi problemi, non basta la denuncia: occorre fornire soluzioni. E le soluzioni devono essere condivise e per essere condivise devono essere adeguate e ben spiegate. · Inoltre, la questione dei leader. Se noi combattiamo il gender e l’omosessualismo, ovvero le istanze prime per cui primariamente trova significato e scopo l’esistenza del PD (e tutta la sinistra odierna, compreso i Cinque Stelle) e abbiamo come leader una persona che non solo viene da quel mondo (pazienza, tutti possiamo sbagliare) ma ribadisce pubblicamente che egli rimane un uomo di sinistra che guarda al PD… beh, è come denunciare di avere l’influenza ma al contempo uscire tutti sudati e scoperti quando tira vento freddo… ci stiamo prendendo in giro da soli. E questo vale anche per coloro che ancora ci vengono a proporre il “sostegno” dei politici democristiani o si preoccupano di obbedire a quelle gerarchie ecclesiastiche odierne che chiaramente simpatizzano con chi noi dobbiamo combattere. Ci stiamo prendendo in giro da soli. Volete ancora tutti essere presi in giro? Non basta ancora? I veri leader del nostro futuro saranno coloro che hanno spezzato per sempre il cordone ombelicale con il mondo politico del passato, responsabile, direttamente o indirettamente, al 100% dello sfascio odierno a tutti i livelli, per proiettarsi in un vero e concreto cambiamento per la salvezza totale della società italiana. · Ma infine: ci riusciremo mai a fare il partito? Non a costituirlo, questo lo può fare chiunque in qualsiasi momento, come abbiamo visto, basta andare dal notaio e pagare; si può anche arrivare a prendere qualche migliaio di voti; ma, intendo dire, a creare un partito che possa avere realmente la possibilità di imporsi nella vita politica italiana con un consenso di popolo tale che gli permetta di attuare gli ideali che vuole difendere e condurre in parlamento e nei media le battaglie necessarie. Detto in altri termini: ci vogliamo prendere ancora in giro? Per influire nella politica occorre avere milioni di voti, occorre essere protagonisti nei media (non ricevere qualche sporadico invito tra altri alligatori di professione pronti ad azzannarci al collo ogni secondo), occorre essere presenti ovunque nel territorio e per questo occorrono centinaia o migliaia di persone pienamente impegnate. Come e quando otterremo tutto questo, se non siamo nemmeno capaci di fare autocritica e ammettere a noi stessi queste primissime e banalissime considerazioni appena fatte? Una grande “rete” di associazioni unite E allora? Non dobbiamo fare nulla? Io non ho la soluzione in tasca, e, del resto, nessuno ce l’ha, altrimenti tutti la seguiremmo. Forse, dico forse, sarebbe più utile creare una grandissima “rete” (mi si passi la bruttissima espressione tipicamente sinistrorsa) di tante associazioni locali che agiscono sul territorio tramite convegni, conferenze, attività locali di difesa effettiva del bene e di lotta al male, attività di formazione politica e culturale invitando coloro che sono in grado di arricchire in maniera corretta gli altri in tal senso, trovando modi e sistemi di ricerca di fondi finanziari ma, soprattutto, che organizzino costantemente momenti di preghiera comune, affinché non si dimentichi mai che “senza di Me non potete fare nulla” e non si cada ingenuamente nell’attivismo del tutto umano e politicizzante che è poi una delle cause essenziali del fallimento di ogni attività sociale da parte dei buoni. Questa “rete” di associazioni locali collegate e in contatto non solo sarebbe possibile da realizzare (in quanto lo sforzo umano ed economico sarebbe delocalizzato e inoltre già esistono decine e decine di associazioni sul territorio che meritevolmente si adoperano in tal senso), ma potrebbe svolgere quel lavoro – tanto basilare quanto imprescindibile – di preparazione culturale delle persone per renderle maggiormente disponibili alla comprensione del problema del gender – e di tutti gli altri problemi sopra elencati e di altri ancora – senza la quale ben difficilmente noi potremo aumentare i consensi. Insomma, quello che voglio dire è che per agire veramente e concretamente nella società italiana dobbiamo prima compiere l’immenso sforzo di parlare agli italiani e di convincerli delle nostre denunce e quindi proporre loro alternative (politiche, economiche, morali), serie per un radicale cambiamento di rotta. Cari amici, la verità è che l’italiano della porta accanto, il nostro vecchio compagno di classe che ogni tanto risentiamo, nostro zio, del gender non sa ancora nulla e se sa qualcosa non vuole sapere perché non vuole fastidi, né mentali né morali né operativi. Se noi prima non spezziamo questa catena di ignoranza e omertà, potremo fondare tutti i partiti che vogliamo che non servirà a nulla. Milioni e milioni di italiani non sono con noi non perché nemici del bene, ma perché non ancora pronti, non ancora consapevoli: noi dobbiamo prepararli prima, poi possiamo proporre loro alternative politiche. Il punto chiave: la necessaria formazione per poter guidare gli altri Ma per preparare gli italiani, occorre anzitutto che i primi ad essere preparati, ad avere una formazione piena a corretta, siano i leader di questo movimento. Non ci si improvvisa persone preparate. Uomini al servizio della Politica, e non politici. Non si tratta ovviamente di cultura spicciola, ma di chiarezza di idee, di preparazione politica, storica, scientifica, economica, bioetica, giuridica e anche e forse soprattutto teologica, corretta. Alcuni di questi leader si occuperanno proprio specificamente della formazione pubblica degli italiani con scritti, libri, articoli, conferenze, convegni, ecc., ognuno nel suo campo di professionalità. Altri avranno i compiti più politici e organizzativi. Altri cureranno il rapporto fondamentale con i media. Altri dovranno occuparsi dell’attività fondamentale del reclutamento di fondi finanziari. Ma tutti devono essere preparati: nessun soldato, tanto meno cavaliere, può essere un buon combattente se non ha la giusta e puntuale preparazione al combattimento. Non deve accadere che qualcuno non si senta rappresentato da un leader per le scempiaggini che dice o che fanno i suoi uomini in ottemperanza al buonismo dilagante. “Con il buonismo non si va da nessuna parte”, dice un noto giornalista appena epurato… E noi che facciamo? I buonisti, come il noto pazzesco caso di Napoli… O sentiamo dire incongruenze inaccettabili. Queste decine e decine di associazioni locali si dovrebbero poi tenere in contatto continuo – anche tramite i mezzi informatici odierni – per conoscersi, organizzare eventi sempre più grandi (non tanto altri circhi massimi, che sono prove di forza ma ai quali partecipa chi è già convinto delle buone idee e che possono essere utili solo in prossimità di elezioni o referendum) destinati a propagare tra la gente gli scopi delle nostre battaglie e la formazione corretta dei nostri ideali, fornirsi l’un l’altra formazione e chiarezza di idee nei vari settori dell’azione politica e sociale (bioetica, economia, politica, cultura, apologetica e anche teologia), invitare esperti in ogni settore a tenere conferenze specifiche, anche per individuare future menti adatte a condurre a loro volta la formazione e la battaglia in uno specifico settore. Più che annuali grandi sforzi di popolo, occorrono settimanali piccoli, locali ma costanti sforzi di associazioni. Fino a raggiungere consensi sempre più vasti. Si tratta insomma di una vera e propria evangelizzazione politica (e anche spirituale, visto che coloro che dovrebbero farla in grandissima parte pensano a tutt’altro) e culturale della società italiana. In tal modo, si diventerà sempre più forti, al punto tale che a un certo punto o realmente si potrà creare un partito “vero” nel senso di cui dicevamo prima, oppure, più realisticamente, si potrà avere la forza necessaria per influenzare le scelte politiche e le battaglie pubbliche di quei partiti a noi più vicini, che, sentendo il fiato sul collo, ci diventeranno sempre più vicini. È un po’ quello che fanno i Think tank americani. Certo, loro hanno i miliardi. Ma noi abbiamo la fede. Concludo: prima di fondare partiti, occorre preparare gli italiani (e non il contrario) e prima di poter preparare gli italiani occorre essere preparati noi stessi. Poi, queste stesse associazioni, guidate dai leader che saranno scaturiti naturaliter, dovranno al contempo affrontare ogni situazione di pericolo che si viene a presentare nei vari momenti della politica nazionale e internazionale. Ovvero, dovranno fare Politica. Ma la faranno con ben altra preparazione, consapevolezza e consenso. Una vera ricchezza che già esiste: l’associazionismo cattolico Esistono oggi molte persone che sono in grado di fare formazione in uno o più settori tramite conferenze, convegni, ecc. Così come esistono tante associazioni locali che fanno grandi e meritevoli sforzi per invitarle a parlare in modo da fornire al proprio pubblico e alla propria gente la conoscenza basilare per comprendere e combattere la buona battaglia. Altre si impegnano nell’editoria, altre nell’organizzazione di grandi eventi. Sono questi i veri eroi di oggi, sono queste associazioni la nostra vera ricchezza (potrei farne un lungo elenco su quasi tutto il territorio nazionale). Tutti dobbiamo aiutare costoro come possiamo nella battaglia quotidiana che conducono, la quale, richiede, anzitutto, purtroppo come sempre, l’aiuto economico, oltre che quello organizzativo e la buona volontà della partecipazione attiva nostra e del coinvolgimento altrui. Io invito tutti gli amici, specie quelli più legati ai temi della famiglia, ad abbandonare certi sentimentalismi e ad attivarsi con razionalità. Non è più tempo di culti delle personalità e ingenue adesioni a chiunque dica o faccia qualsiasi cosa, correndo da tutte le parti a festeggiare chiunque apra bocca qua e là. Siamo in guerra con un nemico tanto potente quanto spietato e i primi a essere in pericolo sono i nostri figli. Occorre ora essere lucidi, forti, realisti, e, ovviamente, puri come colombe ma anche astuti come serpenti. Occorre saper fare le giuste scelte, sia a livello politico che a livello umano e operativo. Costi quello che costi. In tempi passati, anche difficili, è stato proprio l’associazionismo cattolico a salvare la Chiesa e la fede in Italia. Certo, allora essi avevano il clero dalla loro parte e il bene era chiamato bene e il male male. Ma questo è un altro fardello che dobbiamo portare noi. Noi, l’amore per il bene e la consapevolezza del male li abbiamo nel cuore. E tanto deve bastarci. Poi, ogni ecclesiastico farà le sue scelte, di cui risponderà un giorno al Giudice Eterno. Cari amici, la città è assediata, Hannibal ad portas. È inutile correre tutti a difendere un’unica porta, lasciando sguarnite le altre. Occorre difendere tutte le porte contemporaneamente. Non che tutti possano fare tutto, ovviamente, ma tutti, oltre a seguire le proprie inclinazioni, possono aiutare anche gli altri nella loro specifica missione e nello svolgere il loro compito naturale. Solo con questa unione di intenti e collaborazione di ruoli si potrà fare vera Politica (con o senza partiti) e fare del bene per i nostri figli, la nostra società e civiltà e per noi stessi. Almeno speriamo. E, comunque, sempre e solo con la coscienza certa che noi dobbiamo operare come se tutto dipendesse da noi ma sapendo perfettamente che tutto dipende da Dio. E per questo la preghiera rimane la prima arma a nostra disposizione. Chi non ha capito questo, si crede furbo, ma, in realtà, non ha capito nulla. Il fatto stesso che la nostra società debba istituire in continuazione giornate della memoria è riprova inconfutabile sia di quanto essa sia menzognera in sé, pertanto illecita e contro la Verità e la Giustizia, e quindi contro l’uomo. Le società che nel corso dei secoli si sono succedute, hanno, in rapporto al loro grado di civiltà, sempre conservato la memoria del loro passato, delle loro glorie come dei loro errori (Historia Magistra Vitae…), le prime al fine di puntellare l’unità del popolo e la forza delle istituzioni, i secondi al fine di imparare a commettere più gli stessi errori. Qualcosa magari veniva volutamente obliato perché troppo scomodo da ricordare… Ma l’eccezione confermava la regola generale. Nessuna civiltà del passato ha mai dovuto istituire giornate della memoria. Lo deve fare il nostro mondo democratico, quello dei diritti civili e del progresso, del dialogo e della tolleranza. Come mai? Beh, solo i finti stupidi possono far finta di non vedere il perché: perché il nostro mondo democratico, dei diritti civili e del progresso, della tolleranza e del dialogo, si fonda – per costituzione stessa – sulla menzogna istituzionalizzata (altrimenti non vi sarebbero dialogo e tolleranza, nel senso che viene dato loro oggi e nell’uso che ne viene fatto). E allora, ogni tanto, qualcuno si accorge che il coperchio con cui si è occultata la realtà storica sta per scoppiare, e così si inventano le giornate della memoria. Il fatto che la nostra società sia costruita sulle fondamenta della menzogna e dell’occultamento storico non è un errore di percorso: è l’inevitabile esito della scelta compiuta ufficialmente nel XVIII secolo (in realtà molto prima) di creare un nuovo mondo a tavolino. Il mondo non come è, ma come ci piacerebbe che fosse (o meglio, come piacerebbe a un gruppo di potenti “fratelli”). È insomma l’esito del trionfo dell’utopia della “Nuova Era”. Utopia che – proprio in quanto utopia – richiede necessariamente di far passare per vero ciò che è falso e viceversa. E in questo processo, che è preternaturale e metastorico prima ancora che naturale e storico, è ovvio che la manipolazione della storia, in quanto memoria condivisa dei popoli e delle civiltà, è l’elemento chiave per la riuscita del progetto. Con questo non stiamo dicendo che l’istituzione della giornata della memoria per le vittime delle foibe sia un errore, anzi, era ed è una assoluta necessità in quanto riparazione delle menzogne di cui sopra. Stiamo però dicendo che in fondo, al di là del doveroso e sacro ricordo delle vittime e dei martiri della mostruosità ideologica moderna, tutto ciò è dimostrazione ulteriore del fallimento della società democratica in cui viviamo. Un giorno, insegnavo ancora a scuola. Venne da me una collega (che peraltro, essendo di sinistra, non poteva vedermi) tutta preoccupata e ansiosa (come era sempre) e mi chiese gentilmente un favore. Io le dissi: “certo, dimmi, di che si tratta?”. E lei: “Massimo, le ragazze mi hanno chiesto una cosa che non conosco, una cosa strana, mah… ma tu ne sai niente?”. “Cosa ti hanno chiesto?” – “Mah… m’hanno chiesto cosa sono… aspetta, una parola strana.. tipooo… febe, fabe, fobe… Ma che sono?”. Correva l’anno 2000: più di mezzo secolo dopo gli eventi in questione e per di più nella nostra iperinformata e mediatica società, una docente di storia non aveva mai sentito la parola “foibe”. Non è neanche colpa di quella povera docente di liceo. Avevamo la stessa età, ed effettivamente nessuno a scuola aveva mai insegnato neanche a me cosa erano le foibe… E tanto meno all’università (figuriamoci!). Se io lo sapevo era perché essendo un uomo di destra e avendo frequentato quel mondo politico e culturale ne ero venuto a conoscenza. Ma nessun libro ne parlava allora, tanto meno i giornali, i tg, ecc. In tal senso, il peso che più pesa dentro (mi si passi il gioco di parole), oggi, ciò che più rende furiosi, è la complicità. La complicità di coloro che per decenni hanno negato spudoratamente il massacro delle foibe, la complicità infame dei politici di sinistra e di centro che per decenni si sono rifiutati di rendere almeno un postumo omaggio a quelle persone, persone come noi, gettate vive nelle fosse con i loro bambini, o massacrati prima nelle carceri titine. Infami complici ancora oggi esistenti: inutile fare i nomi, li conosciamo i politici e intellettuali che ancora si oppongono alla memoria o, non potendo più cancellarla, la banalizzano facendo ricadere la colpa sugli italiani stessi o spiegandola tramite mere cause di scontro etnico. Tutti costoro, nessuno escluso, non sono differenti dai soldati comunisti di Tito (e del suo italico compare) che hanno compiuto questo mostruoso massacro: sono esattamente come loro, peggio di loro, perché quelli hanno compiuto quelle scelleratezze in un clima di guerra e di odio, mentre i nostri le perpetuano a decenni di distanza dalle loro scrivanie e con i loro portafogli ricolmi di soldi e forti del loro successo personale. Infami traditori della Verità storica, del Bene comune, della memoria dei massacrati dall’odio ideologico della modernità. Ma, tornando al discorso generale delle giornate della memoria, quanto in precedenza detto, come tutti sappiamo infallibilmente, vale per tutti i massacri e genocidi, tranne uno. Per questo genocidio, vige invece il ragionamento contrario: occorre tenerlo vivo sempre e comunque ogni giorno in ogni modo, tutti lo devono vivere sulla propria pelle. E, soprattutto, solo di questo si deve parlare veramente ovunque: a scuola fin dalla più tenera età, alle superiori, all’università, nei giornali, in tv, al cinema, nei libri, ovunque sia possibile. Si organizzano viaggi di scolaresche e politici nei luoghi del massacro, lo si esamina ancora oggi come se fosse avvenuto ieri. Tutti hanno capito di quale genocidio ora stiamo parlando e sia subito chiaro che chi scrive non è affatto negazionista e pertanto ritiene assolutamente giusto che anche la memoria di quell’orribile persecuzione e strage, perpetrata da una congrega di criminali infernali, non venga mai cancellata, sebbene sarebbe molto utile e saggio riportarla nei corretti limiti della realtà storica. Il problema, semmai, è che appare oggi intollerabile che questa sia l’unica infamità che tutti debbano conoscere per forza, l’unica “legittima”, se così si può dire. Ancora oggi tutti i media, scuole, parrocchie, ecc. parlano del 27 gennaio. Benissimo. E del 10 febbraio chi parla, eccetto qualche rivista o intellettuale di destra? È questo che non va bene: occorre parlare di tutti, nessuno escluso, perché tutti i massacrati erano uomini, e gli uomini sono tutti uguali davanti a Dio e davanti alla storia (a meno che non vogliamo essere… “razzisti”…). Quando verrà il giorno della memoria per gli armeni massacrati dai turchi? E il giorno della memoria degli spagnoli cattolici massacrati da Largo Caballero e da tutta la sinistra rivoluzionaria? E il giorno della memoria dei 500.000 massacrati dalla Rivoluzione Francese (di cui 300.000 solo in Vandea) in nome della libertà e della fraternità, quando verrà? E il giorno della memoria degli oltre 100.000 italiani massacrati dai napoleonici perché rimasti fedeli alla Chiesa e ai loro sovrani legittimi? E il giorno della memoria delle decine di migliaia di meridionali massacrati dai piemontesi fra il 1860 e il 1865 perché non disposti a tradire Francesco II di Borbone e a farsi italianizzare con la forza, quando verrà? E il giorno della memoria di decine di migliaia di cattolici messicani massacrati dal governo massonico negli anni Venti del secolo scorso, quando verrà? E il giorno della memoria non solo delle foibe, ma delle centinaia di milioni di morti vittime di Stalin, di Mao, Pol Pot e di tutti gli altri mostri prodotti dal comunismo nel mondo, quando verrà? E il giorno della memoria di 10 milioni di vittime della Prima Guerra Mondiale, la più insulsa e ingiustificata di tutte le guerre, l’“inutile strage”, atta solo alla distruzione dell’Impero cattolico e all’introduzione del comunismo nel mondo, quando verrà istituita? Ma mi voglio ancora più allargare. Voglio esagerare con la memoria. E il giorno della memoria di tutti i cattolici massacrati dal protestantesimo, in particolar modo da quel mostro d’iniquità che fu Elisabetta I d’Inghilterra, quando verrà? Ma vado ancora più sul pesante. E il giorno della memoria del più incalcolabile numero di cristiani massacrati in tutti i tempi, vale a dire quello ucciso nelle più efferate maniere fra il VII e il XVII secolo, e ancora oggi, ogni giorno, dall’islam, quando verrà istituito? Quando? E, per finire, quando ricorderemo le decine di milioni di bambini sventrati nel grembo delle madri con la complicità di leggi inique e infami, di medici e infermieri dimentichi del loro mandato deontologico? Quando? Ma, in questo caso, la prima urgenza sarebbe quella di porre fine al massacro, visto che è quotidianamente in atto ancora oggi. E auguriamoci, e lottiamo fino in fondo affinché ciò non avvenga, che non si debba un giorno istituire una giornata della memoria per la famiglia composta da padre, madre e figli, o una giornata della memoria della retta sessualità e moralità privata e pubblica… Quante giornate della memoria dovremo istituzionalizzare? Troppe. Forse, più che le giornate della memoria, sarebbe necessario istituzionalizzare la memoria corretta degli eventi. Ovvero, liberare l’insegnamento e la conoscenza generale della storia dalle mani opprimenti e totalitarie della sinistra e del liberalismo rivoluzionario, dall’indottrinamento massonico ideologico, che, gestendo scuole, università, case editrici, televisioni, giornali e in buona parte – direttamente o indirettamente – anche parrocchie e diocesi (e più ancora), controlla di fatto il cervello di milioni e milioni di persone. Forse, v’è un’unica giornata della memoria che dovremmo istituire, ogni giorno, giorno dopo giorno: quella della lotta attiva e continua e generale per la diffusione della Verità. Questa sì che è una battaglia immensa, un fine eccelso, per i quali la vita merita di essere vissuta.