Sabato 21 Dicembre 2024

15:33:27

Bambini trans? Già fatto

Fonte: www.riscossacristiana.it di Elisabetta Frezza La notizia – che abbiamo letta qua e là durante la settimana santa – è che l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha dato il via libera all’inserimento della triptorelina (principio attivo che inibisce lo sviluppo ormonale) nell’elenco dei medicinali erogabili ai bambini a carico del Servizio Sanitario Nazionale in presenza di una diagnosi di “disforia di genere” (che significa identificazione nel sesso opposto a quello biologico), allo scopo di bloccare la pubertà e preparare la strada alla cosiddetta “riassegnazione del sesso” in via chirurgica. Il minore cosiddetto “gender variant” potrà dunque esercitare fino in fondo la propria autodeterminazione (ecco il vero volto dei “diritti dei bambini”!) e il contribuente pagherà per lui. Troverà tanti bravi “esperti” a sostenerlo e guidarlo lungo l’iter entusiasmante dell’alterazione irreversibile dei propri connotati corporei, e della propria psiche, in spregio al disegno indelebile tracciato per lui da madre natura. La carriera faustiana del famigerato dottor Money prosegue implacabile post mortem la sua ascesa trionfale. I protocolli partoriti dalla mente perversa e criminale del medico di Baltimora diventano pratica seriale nell’intero orbe terracqueo per un fenomeno, immane e incredibile, di psicosi collettiva e contagiosa. E sarà un’altra strage di Stato, una modalità alternativa per massacrare gli indifesi. L’accanimento contro la vita innocente è dappertutto fuori controllo. Abbiamo appena inaugurato l’eutanasia nostrana, lugubre eredità di un governo necrofilo che assicurerà presto anche all’Italia i suoi Charlie, Isaiah, Alfie, piccole vite inidonee a superare il controllo di qualità della commissione tecnico-scientifica che stabilisce chi deve vivere e chi deve morire. Ma non bastava. Il sacrificio umano legalizzato – e barbaramente perpetrato anche contro la pietas famigliare, violando il cordone protettivo dei legami di carne e di sangue, e di amore vero – va declinato anche nella chiave della intima manipolazione dei fanciulli, manipolazione fisica e mentale: e alla teoria del gender, programma obbligato di lavaggio del cervello nelle scuole, fa seguito la pratica del gender, sempre a spese del contribuente e, sempre, a prescindere dalla volontà dei genitori, se ci sono. Il placet dell’AIFA, tuttavia, non fa altro che vidimare usi e costumi già diffusi, e non solo in Olanda, nel Regno Unito, in Australia; anche in Italia. Per dirla con il solito Overton, si tratta di pratiche già “popolari” pure dentro casa nostra. Non soltanto perché sgravate ormai del disagio dell’anomalia – compensata dal fascino invincibile della moda inoculata per via mediatica – ma anche perché bel che organizzate in un meccanismo poderoso, pronto per l’uso, programmato su vasta scala e realizzato con dovizia di uomini e di mezzi. La filiera è completa e senza nemmeno una smagliatura. È articolata in una serie di corpi intermedi al lavoro da tempo nei gangli vitali delle istituzioni, centrali e periferiche, e sincronizzati con corporazioni potentissime. L’UNAR, ente arcobaleno annidato presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, sovrintende le operazioni e impartisce le linee di indirizzo. Tanto fondamentale il compito dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (dove “razziali” sta abusivamente per: “sessuali e di genere”) che Gentiloni, con uno dei tanti colpi di coda del mostro esecutivo di cui era a capo, ha provveduto in articulo mortis a rinnovarne le cariche di vertice, dopo la figura non troppo lusinghiera di Spano, beccato in flagranza dalle Iene a foraggiare con soldi pubblici le orge gay. Ma l’esercito addestrato alla realizzazione del piano eversivo a suon di corsi “di aggiornamento” è sparpagliato un po’ dappertutto, e in buona parte non sa neanche per cosa sta combattendo e al servizio di chi. Come i giornalisti vanno rieducati all’uso di un linguaggio inclusivo, gli insegnanti formati alla lotta continua contro gli stereotipi sessuali e sociali per formare a loro volta i discepoli alla fluidità permanente, così le forze di polizia devono anteporre l’allarme-discriminazione al meno impellente, quasi trascurabile, allarme-criminalità. Soprattutto, le truppe cammellate degli psicologi di regime devono infiltrare capillarmente ogni struttura pubblica e privata che si rispetti. Il tutto compone una rete radicatissima che si autosostiene e si autoalimenta e il cui terminale è l’industria farmaceutica, dispensatrice provvidente di “cure” costosissime per gente sanissima: del resto, creare malattie per vendere medicine ai sani è un affarone senza pari. Come dice Mario Adinolfi, si sono inventati i bambini trans e la loro “disforia di genere”, e ora puntano a monetizzare la scoperta, rovinando la vita a bambini che avrebbero tranquillamente superato una naturale fase di transizione identitaria proprio grazie a quella pubertà che si pretende di inibire chimicamente. La rete stesa – dicevamo – non lascia scampo, ed esercita una forza adescatrice straordinaria su giovani corpi messi a fluttuare in mezzo alle correnti senza saper nuotare, figli persi di genitori più persi di loro. Mi è capitato per caso, l’anno passato, a margine di una delle mie conferenze sul gender, di raccogliere lo sfogo di una nonna. Il suo nipote maschio, adolescente, si era convinto di voler vivere da femmina. Lei se ne è accorta per i capelli sempre più lunghi (e passi..), poi per le unghie laccate di rosso, e da lì è partito un flash back di mesi e mesi trascorsi, durante i quali a sua insaputa la macchina sanitaria e socio-assistenziale aveva cucinato a fuoco lento il contorno, oltre alla vittima. Eppure non è effemminato – mi dice la nonna – si sta sviluppando in modo del tutto normale, è grande e grosso, gode di ottima salute, cresce bene, è bravo a scuola; solo, è un po’ chiuso e ha sempre privilegiato la compagnia delle coetanee femmine (circostanza che la nonna aveva interpretato in modo diametralmente opposto a quello rivelatosi corretto). La mamma – continua la signora – lo ha accompagnato subito in un centro specializzato da cui è uscito con la diagnosi di “disforia di genere” in mano; da qui è stato reindirizzato presso una équipe di psicologi, psicoterapeuti ed endocrinologi preposta a gestire il transito, tutto compreso. Gli hanno consigliato di frequentare regolarmente il circolo dell’Arcigay con tanti nuovi amici tutti molto arci, che lo hanno accolto benissimo, lo hanno messo a proprio agio, arciaccettato e arcisostenuto. È seguito in particolare da una psicologa, che lo riceve tassativamente da solo e nessun altro può essere presente alle sedute. Intanto, fa gli esami clinici propedeutici alla terapia ormonale, che – come ha spiegato il ragazzino alla nonna – gli procurerà alcuni effetti collaterali ma di lieve entità, tipo rossore al volto qualche sbalzo di umore o altri piccoli fastidi, tutti innocui. La mamma appoggia risolutamente il figlio in questa sua scelta, si fida ciecamente degli “esperti” che lo hanno preso in carico e che, soprattutto, lo fanno sentire bene. Hanno studiato per questo, e si vede, sanno di scienza. La nonna invece, da quando è stata messa al corrente della faccenda, non si dà pace e si chiede cosa può fare, lei, prima che gli apprendisti stregoni alterino l’assetto ormonale del nipote e ne intacchino l’integrità fisica. A lui, sano come un pesce. Non si può stare a guardare questo film surreale – mi dice, tra il titubante e l’arrabbiato – senza provare a suggerire al protagonista un altro finale. Ma la regia è troppo forte. Non sapendo dove sbattere la testa, è persino andata a sua volta a colloquio da una psicologa, per sentirsi dire, come da copione, che deve rispettare le scelte del ragazzo e deve volergli bene per quello che è (appunto..). Ma in tutto il racconto di questa povera nonna, un racconto lucido, accorato, sofferto, di una storia vera di straordinaria follia – probabilmente una delle tante storie che si stanno apparecchiando in giro per l’Italia, sicuramente una delle innumerevoli considerando anche il resto del mondo, dove l’esplosione delle disforie è dirompente e le vittime dell’epidemia non si contano più – in tutto questo, dicevamo, manca qualcuno. “E il padre, signora?” – chiedo – “C’è un padre? Dov’è?”. Sì, mi risponde, certo. Ma mio nipote ha sempre avuto un rapporto privilegiato con la mamma, si confida solo con lei, tant’è che di tutta la prima parte del percorso nessun altro era stato messo a parte. E mio figlio – dice la signora, quasi a volerlo proteggere, o giustificare – sta volutamente ai margini, desidera evitare tensioni, accetta. Penso gli dispiaccia un po’ per il figlio, ma non lo dice, non vuole creare scompiglio in casa, se ne è fatto una ragione. Ecco, la soluzione del caso si scopre alla fine. L’abdicazione paterna. Credo che la chiave di lettura non solo di questa vicenda – una tra le tante che fa irruzione sotto i nostri occhi e dentro le nostre vite – ma del delirio fattosi norma e della sua vittoria sulla realtà, stia proprio qui: nella assenza del padre. Da decenni, ma forse da secoli risalendo alle origini del processo rivoluzionario, si lavora giorno e notte per demolire la figura paterna e questo è il risultato: l’annientamento del maschio, per la precisione del pater familias. Viviamo ormai in una società svirilizzata che non sa più chi è il padre e che, infatti, ha perduto il senso di Dio. O viceversa. Con il padre – con il Padre – viene meno l’autorità che egli incarna, si cancella dall’orizzonte il lògos, la ragione, il Verbo, la verità; si cancella tutto ciò da cui discendono, devono discendere, l’azione, l’amore, la carità. Se l’azione, l’amore, la carità, si staccano dalla guida naturale e razionale su cui misurarsi, l’ordine delle cose è sovvertito ed è imboccata la via maestra verso la barbarie senza fine. E allora un bambino, privo per definizione della capacità di intendere e di volere, ma titolare di molti diritti, può ficcarsi in un infernale imbuto a senso unico, magari con la complicità unilaterale di una madre che ha perduto il lume della ragione identificando il bene del figlio con il benessere fallace e passeggero che discende dall’assecondare pulsioni e mode del momento. Eppure l’alternativa ci sarebbe, e sarebbe pure tanto più semplice della strada tortuosa, cruenta, dolorosa, mutilante, irreversibile, che i soloni della scienza ci indicano come obbligata: basterebbe aiutare questo bambino ad affrontare le proprie paure e le proprie insicurezze, a vincere la propria supposta inadeguatezza; a crescere sviluppando l’uomo che è in lui, o che lui già è. Basterebbe fare quello che ogni vero padre dovrebbe fare. Ma, prima di questo, bisognerebbe cominciare a ricostruire nelle menti e nei cuori il senso stesso della paternità demolita. Ed è lavoro immane, perché comporta risalire una corrente impetuosa da cui tutti, chi più chi meno, siamo trascinati perché ci siamo nati dentro. Intanto, non ci resta che guardare l’inferno trasferito sulla terra e riflesso nelle immagini dissonanti dei volti di questi bambini. Su di loro l’AIFA ha solo apposto l’ennesimo timbro dell’ennesima falsa Autorità venduta alla più orrenda delle ideologie. La chiesa tace e acconsente. Il Padre Nostro ha fatto il suo tempo.